Sul presente che non è vita e un futuro che non ci sarà mai. TUTTE LE VITE VALGONO!

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Sul presente che non è vita e un futuro che non ci sarà mai. TUTTE LE VITE VALGONO!

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre nel Residence Capodoglio di San Giuliano Mare a Rimini una donna di 37 anni ha perso la vita, soffocata dai fumi tossici prodotti dall’incendio che ha coinvolto il suo monolocale e quello superiore.Si chiamava Arianna e la sua biografia poteva essere quella di tante e tanti di noi. Nella decisione, sempre più obbligata, di emigrare dalla propria città di nascita, dal sud verso il nord, restando in Italia o recandosi all’estero, per trovare condizioni di vita migliori, per sconfiggere quella precarietà che ti stritola come una morsa.

A Rimini Arianna era arrivata per lavorare come dipendente Ata in una scuola elementare, assunta probabilmente con un contratto Covid, quei contratti iper-precari utilizzati durante la pandemia per assumere persone senza stabilizzarle, per avere braccia da sfruttare nell’emergenza per poi disfarsene appena questa si arresterà.

Un lavoro fuori dall’ambito della sua laurea, che poco c’entrava con quello che aveva studiato e con quello che probabilmente avrebbe voluto fare nella vita, dopo averne investita buona parte a studiare: un lavoro povero, sottopagato che non le ha consentito i margini e le garanzie per trovare una casa in affitto, altrettanto sicura come quella che aveva lasciato nel suo paese di origine.

Perchè la povertà, ed Arianna era una working poors, è una spirale generata da tanti aspetti tra loro intersezionali. Abbiamo una condizione di genere che continua ad impedire parità di retribuzione tra uomini e donne (Gender Gap Report 2019: “resta un gap di 2.700 euro tra uomini e donne, pari al 10% in più a favore degli uomini”).

C’è il dato, come già affrontato, di forme di lavoro sempre più diffuse, nell’ambito del lavoro di cura ed assistenza in primis, ma anche in tantissimi altri settori economici (come tralasciare il lavoro nel settore turistico locale) che al pari delle ore di lavoro svolto non forniscono i redditi sufficienti ad accedere a quegli elementi di stabilità, di sicurezza, che ti permettono di affermare con certezza che a 37 anni non muori in un monolocale in affitto in uno dei tanti residence turistici che popolano i nostri lungomare.

Perchè il lavoro povero va a braccetto con la precarietà abitativa. E nel nostro territorio la percentuale di coloro che vivono in affitto in stanze di albergo, residence, soffitte o sottoscala, ex cantine o garage privi di abitabilità ed ugualmente affittati, si sta espandendo a macchia d’olio. Soluzioni abitative non sicure, che da temporanee si sono trasformate in alternativa strutturale al mercato di locazione privato, divenuto inaccessibile ed impenetrabile a causa delle speculazioni stagionali e dei processi di turistificazione (gli affitti annuali sono divenuti cosa rara), dei costi (per l’affitto di un bilocale la spesa minima è di 600/700€) e non ultimo delle garanzie che occorre fornire a proprietari ed agenzie (dai contratti di lavoro annuali, stabili, ben remunerati alle fidejussioni bancarie).

C’è poi l’insidia, o più correttamente quel muro discrimante ed invisibile, della residenza, che per chi vive condizioni di precarietà abitativa senza un contratto di affitto registrato all’agenzia delle entrate, è pressochè impossibile ottenere e senza la quale tutti i servizi di sostegno alla persona sono interdetti. Compresi gli aiuti per la pandemia, come i pacchi viveri.

Questa è la fotografia che abbiamo registrato in questi anni attraverso gli Sportelli Casa e Lavoro di ADL Cobas, attraverso progettualità ed interventi preziosi di mutualismo e solidarietà dal basso come il Guardaroba Solidale Madiba, attraverso esperienze di accoglienza per Persone senza Dimora come Casa Don Andrea Gallo Rimini #perlautonomia 2.0 e tutte le attività che portiamo avanti dentro Casa Madiba Network. Una fotografia che si è ingrigita e resa più grave e drammatica con la pandemia.

Non possiamo e non dobbiamo dimenticare quanto accaduto ad Arianna. Perchè dietro alla sua morte ci sono cause e responsabilità precise.Quelle delle mancate risposte e politiche abitative.

Quelle della mancanza di sostegni a chi sta più pagando in questa pandemia. Non bastano i ristori, non bastano i contributi frammentati e segmentati con i loro mille nomi diversi reso inaccessibili da requisiti sempre più stringenti e irraggiungibili oltre che iperburocraticizzati (alla faccia dell’innovazione della P.A.) .

Vogliamo un reddito universale, incondizionato. E accanto a questo un salario minimo, una linea netta che stabilisca che sotto ad una certa retribuzione sia illegale lavorare.

Vogliamo una casa per tutt@.Vogliamo investimenti seri nell’ambito delle politiche abitative, che si metta mano al patrimonio sfitto di questo Paese, e lo si inizi a fare dalla città di Rimini, quella che vede migliaia di metricubi di cemento versati nella costruzione di strutture alberghiere che dopo aver impattato pesantemente sul paesaggio e il territorio sono ora abbandonate e in uno stato fatiscente.

Vogliamo che le stesse risorse economiche investite nel settore turistico siano adoperate anche in altri settori non meno strategici come quello sociale e abitativo; vogliamo che il Recovery Fund sia utilizzato per investimenti nelle scuole pubbliche e nelle università, nella ricerca, nella sanità, nell’edilizia popolare, in quella sommatoria di aspetti che ha portato una lavoratrice precaria di 37 anni a morire in un incendio nel 2020 in un monolocale a Rimini.

Che una città non reagisca a questa morte, ci restituisce il degrado dei rapporti e delle relazioni sociali e politiche che si costruiscono al suo interno.

Non fermiamoci al fatto di cronaca, non fermiamoci alla compassione.

Recliamiamo reddito, salute, diritti, dignità per tutte e tutti.Scendiamo in strada, prendiamo parola! Arianna non ti dimenticheremo, un abbraccio forte alle persone a te care.

Casa Madiba Network

Adl Cobas

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