Casa Don Gallo: da dove veniamo, dove vogliamo andare!

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Da dove veniamo, dove vogliamo andare lo decidiamo insieme alle persone che incontriamo e che fanno un pezzo di strada con noi.
La storia è sempre un processo collettivo e noi vogliamo scrivere una nuova storia per i diritti delle persone senza casa e farlo insieme a loro.

DA DOVE VENIAMO

Casa don Andrea Gallo #perlautonomia nasce a Rimini nel 2015 a partire da un ciclo di lotte per il diritto all’abitare portato avanti negli anni precedenti dal collettivo e dall’esperienza politica di Casa Madiba Network e che in quell’anno ha raggiunto un’eccedenza.

In seguito allo sgombero e al sequestro dello spazio sociale di Casa Madiba e allo sgombero di una occupazione abitativa realizzata poche settimane prima, insieme alle persone che avevano trovato un tetto in queste due esperienze, fu occupato un nuovo stabile comunale – il Villino Ricci – per trovare una soluzione concreta a chi era tornato in strada come conseguenza dell’azione poliziesca e politica.

Dopo 6 mesi di occupazione e la nascita di un’esperienza di mutualismo molto importante come il Guardaroba Solidale Madiba, il Villino Ricci e le persone che li ci vivevano, furono sgomberati. Era fine novembre e le persone furono sistemate dal Comune in via emergenziale presso i due dormitori presenti in città, gestiti dalla Caritas e dalla Papa Giovanni XXIII.
Molte delle persone occupanti rifiutò quella sistemazione e fu ospitato presso le case degli e delle attiviste.
L’accoglienza nei dormitori per gli altri veniva rinnovata di settimana in settimana, lasciando le persone senza una prospettiva stabile.
A dicembre, con la chiusura del dormitorio Caritas per lavori di ristrutturazione e il nostro collettivo che premeva perchè venissero trovate soluzioni abitative concrete per la ventina di persone sgomberate dal Villino Ricci, il Comune di Rimini decise di convocare un’istruttoria pubblica finalizzata alla gestione di un centro a bassa soglia per i mesi invernali (24 dicembre 2015 – 15 aprile2016 ).

La discussione all’interno del collettivo politico di Casa Madiba Network non fu scontata né lineare: sapevamo di trovarci ad un bivio, davanti ad un cambiamento importante rispetto ai terreni di lotta attraversati precedentemente, con una controparte per certi versi differente. Sapevamo di essere di fronte ad una nuova sfida e la accettammo fino in fondo, consci che non sarebbe stato scontato portare il conflitto all’interno delle stesse Istituzioni.

Partecipammo così all’istruttoria pubblica con la nostra associazione di volontariato Associazione Rumori Sinistri, il 24 dicembre 2015 aprimmo la casa, dedicandola a don Gallo, prete di strada sempre dalla parte delle persone invisibili e oppresse.

Quando ad aprile 2016 il Piano comunale di emergenza freddo si concluse comunicammo al Comune che non avremmo mandato per strada le persone che si trovavano all’interno. Entrammo così in una forma di occupazione, che si protrasse per 4 anni, fino a marzo 2019, quando il Comune riconobbe l’esperienza politica di Casa Don Gallo e decise di ristrutturare gli spazi ed indire una nuova istruttoria pubblica (della durata di 3 anni e in scadenza il 31/12/21) per l’affidamento e la gestione degli stessi.

Pensiamo di essere stati e state una delle poche realtà in Italia a non accettare la chiusura e conclusione dell’emergenza freddo e ad aver messo in discussione quel dispostivo.

Dall’altra parte, fin dal nostro ingresso all’interno degli spazi comunali che oggi accolgono l’esperienza di Casa Don Gallo (CDG), e che vedete nella foto vuoti prima del loro riutilizzo, abbiamo sempre lavorato per sovvertire l’idea classica del dormitorio (apertura solo nelle ore notturne, tempo di accoglienza breve e definito, bassa soglia) e rompere con l’idea assistenziale/gerarchizzante e spesso caritatevole che indirizza la risposta dei servizi pubblici sul fronte delle persone senza casa e intende queste ultime come soggetti passivi, responsabili della condizione di povertà ed indigenza che vivono, da controllare ed assistere; e non da supportare in un percorso di lotta e liberazione contro le molteplici forme di oppressione che colpiscono questa popolazione anche lungo la linea del colore e del genere.

CDG ha scelto come metodo di organizzazione l’autogestione, assumendo che ogni persona che fa parte di questo progetto ha delle competenze e capacità e che non vi è un alto ed un basso, ma provando a lavorare con un metodo orizzontale.

Da un punto di vista strutturale ed organizzativo all’interno della Casa vi è un’equipe costituita da operator3, attivist3 e due abitanti, che nel tempo si sono responsabilizzati rispetto ad alcuni compiti per il sostentamento della Casa.

Ogni settimana circa si tiene un’assemblea di gestione della Casa con gli abitanti, assemblea che negli anni ha avuto l’obiettivo di organizzare le attività e la gestione della Casa da parte degli stessi ma anche cercare di stimolare un dibattito e l’organizzazione di iniziative pubbliche a partire dalle tematiche che li vedevano coinvolti (es: manifestazioni per il diritto all’abitare oppure presidi per la sanatoria o in seguito ad abusi e ritardi da parte dell’Ufficio Immigrazione nella gestione delle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno, ecc).

Una volta al mese si tiene anche una supervisione rivolta all’equipe grazie alla disponibilità del dott. Montecchi per inquadrare criticità relazionali all’interno del gruppo di abitanti della Casa, relazione abitante/operatore3, eventuali agiti o problematiche che si presentano, ecc.

Ricordiamo infatti che la Casa è autogestita (ad es. sono gli stessi abitanti che, suddivisi in gruppi e a turno, si occupano della pulizia degli spazi) e che questa modalità di gestione non è per nulla scontata da attuare e mantenere e si scontra con resistenze, richiesta di modelli verticistici e di controllo, forme di delegittimazione nei confronti dell’operatore di origine africana (in questo momento la maggior parte degli abitanti di CDG o proviene dall’Africa sub-sahariana e diversi hanno percorsi di richiesta asilo alle spalle).

Per nulla semplice né scontato è stato e continua ad essere anche il rapporto con le istituzioni, dove spesso forte è la tendenza ad iper-burocratizzare istanze e spinte di cambiamento dal basso, dove anziché mettersi a disposizione di nuove modalità con cui affrontare la situazione presente (la sindemia ci ha mostrato tra le tante cose anche l’enorme inadeguatezza delle risposte messe in campo sul fronte istituzionale ai bisogni delle persone povere e senza dimora) spesso i regolamenti, la burocrazia, la lentezza della macchina comunale tolgono tante energie e tempo a chi come noi sta sul campo e prova a formulare risposte nuove ai bisogni che ci vengono posti.

L’azione multilivello portata avanti in questi anni con CDG, Casa Madiba e/o mediante l’associazione Rumori Sinistri ha portato a dei risultati che riteniamo importanti ma non sufficienti. C’è ad es. tutto il tema della necessità di maggiori risorse per chi lavora nel sociale e di come invece negli ultimi decenni il Terzo settore e le amministrazioni abbiano utilizzato e spinto sul volontariato, introducendo strumenti come la coprogettazione attraverso le istruttorie pubbliche (che noi condividiamo), senza però coinvolgere le realtà interessate e le persone senza tetto nella costruzione di un progetto complessivo di interventi da programmare nel lungo e medio periodo e non con scadenze annuali, per arrivare a quello che per noi è l’unico obiettivo da perseguire: HOUNSING FIRST / ZERO HOMELESS.

Così come è necessario porre il tema delle risorse economiche e del loro utilizzo iniziando a guardare alla popolazione delle persone senzatetto non come ad una categoria omogenea e che pertanto porta bisogni differenti tanto quanto quelli di chi una casa ce l’ha e che è pertanto nella risposta a questi bisogni che le risorse economiche devono essere indirizzati. Questo rimanda immediatamente alla necessità di diversificare il più possibile gli interventi sociali messi in atto ma anche ripensare da un punto di vista architettonico e strutturale gli spazi attualmente presenti che accolgono le persone senza tetto (privilegiando per prima cosa la casa come risposta ma anche, rispetto agli spazi esistenti e dedicati, camere con meno posti letto e che garantiscano la privacy piuttosto che camerate con letti a castello ad elevata promiscuità).

Questi sono alcuni punti che hanno portato all’indizione a fine marzo 2021 di uno stato di agitazione da parte degli e delle operator3 e degli abitanti di Casa Gallo organizzati con ADL Cobas Emilia Romagna.

Una battaglia ancora in corso e che rappresenta bene la tensione alla trasformazione anche dentro le istituzioni avanzata da una esperienza che continua a pensarsi come comunità di cura.

UNA CASA PER TUTT3

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