Smontare la narrazione tossica, riconoscere il sex work come lavoro

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Ieri sera abbiamo avuto il piacere di poterci confrontare con Pia Covre, del Comitato per i diritti civili delle prostitute, con un dibattito lungo, stimolante e formativo, consapevol3 che di momenti come questi c’è n’è assoluto bisogno, tanto a livello di confronto con le istituzioni che con la cittadinanza per smontare la narrazione tossica che alimenta il dibattito su questo tema, connotata di elementi forti di stigma e disprezzo.

Stigma e disprezzo che spesso si trasformano in ricatto – in particolare se ad esercitare il sex work sono corpi razzializzati o con un’identità di genere non conforme – davanti all’assenza di altre possibilità lavorative e di ingresso economico se non quello appunto del lavoro sessuale. Ricatto che si crea anche sul fronte dell’abitare, là dove molto spesso le uniche soluzioni abitative disponibili sono alloggi sovraffollati, malsani, senza riscaldamento, gestiti da proprietari che aumentano i costi delle stanze appena comprendono la tipologia di lavoro svolta.
E’ assolutamente necessario e non più rimandabile pensare allora a delle strutture di accoglienza per persone trans e gender non conforming che vivono una condizione di disagio abitativo, nonché percorsi di inserimento lavorativo reali ed efficaci per chi fa sex work come unica opzione lavorativa possibile.

Stigma e disprezzo si accompagnano in questo territorio ad una lotta al sex work mediante lo strumento amministrativo delle ordinanze comunali, da inserirsi a pieno all’interno della gestione della Rimini città vetrina e della fruizione ed utilizzo del suo spazio pubblico, dove la capacità economica che si possiede funge da spartiacque nell’accesso o meno a spazi e servizi della città. Ordinanze che rifacendosi ad un modello abolizionista, criminalizzano questo lavoro e aumentano il danno. Criminalizzare non significa cancellare il lavoro sessuale, ma spingerlo ancora di più verso un contesto di violenza, clandestinità e pericolo.

Occorre piuttosto che le istituzioni inizino ad interfacciarsi e confrontarsi con chi fa sex work, per conoscere chi sono realmente quest3 lavoratrici e lavoratori – spesso con condizioni di vita ben lontane da quelle dipinte sui rotocalchi – per colmare le scarse conoscenze in materia e incrementare la raccolta di dati sul fenomeno.

Il sex work e chi lo pratica, nelle sue variegate e multiformi sfaccettature, è ancora un lavoro non riconosciuto, senza tutele né diritti per chi lo esercita. Grazie Pia per averci fornito direttrici ed attrezzi utili a portare avanti il nostro intervento sociale quotidiano su questi temi e costruire alleanze e forme di sostegno con chi svolge questo lavoro.

Sex Work Is Work!

GRUPPO AUTODIFESA TRANSFEMMINISTA
Non una di meno // Casa Madiba Network // Pride Off

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